Passivo e attivo a confronto

La forma passiva ha un’utilità indubbia nella prosa accademica, sia perché conferisce al discorso le note caratteristiche di obiettività e impersonalità, sia perché contribuisce a rendere il testo maggiormente coeso. Nonostante ciò, negli ultimi anni si sta affermando con decisione sempre maggiore la tendenza a preferire la forma attiva, e non sono poche né marginali le pubblicazioni che formulano esplicitamente raccomandazioni in tal senso. L’AMA Manual of Style, edito dalla American Medical Association e adottato da un buon numero di redazioni scientifiche, afferma chiaramente quanto segue:
In general, writers should use the active voice, except in instances in which the author is unknown or the interest focuses on what is acted upon.
Sulla stessa linea si pongono Nature: Nature journals prefer authors to write in the active voice (“we performed the experiment…”) as experience has shown that readers find concepts and results to be conveyed more clearly if written directly il British Medical Journal:
Please write in a clear, direct, and active style. The BMJ is an international journal, and many readers do not have English as their first language
e il Journal of Trauma & Dissociation, che avverte lapidario:
We will ask authors that rely heavily on use of the passive voice to re-write manuscripts in the active voice
Le frasi al passivo sono sicuramente più lunghe di quelle all’attivo, dovendo introdurre l’ausiliare essere e la preposizione che regge il complemento d’agente. Nel caso, poi, che il complemento d’agente non sia specificato, al lettore vengono a mancare gli elementi necessari per attribuire la responsabilità dell’azione. Si prenda l’esempio che segue:
Endoscopic treatment of bile duct stones is not regarded as a true, viable alternative to laparoscopic cholecystectomy and stone removal.
In questa frase, la considerazione sull’effettiva fattibilità dell’approccio in oggetto potrebbe essere ascritta indifferentemente alla comunità scientifica in generale o all’autore dell’articolo: il passivo introduce così un elemento di ambiguità assai poco scientifico. Un ulteriore argomento contro un uso massiccio del passivo è il maggior rischio di incorrere nei cosiddetti modificatori fuori posto (dangling modifier):
Using a cytocentrifuge, the cells were placed onto slides and then fixed at room temperature in acetone for 2 minutes.
La proposizione introduttiva (using a cytocentrifuge) non ha soggetto; presumibilmente il soggetto implicito sarà investigators, researchers o simili, ma quello grammaticale in questa frase è cells: in altre parole, l’esempio afferma che sono le cellule a usare la citocentrifuga. I modificatori fuori posto non sono un problema legato esclusivamente alla forma passiva ma tendono a comparire nelle frasi passive con una frequenza decisamente maggiore rispetto a quelle attive: obbligando l’autore a esplicitare il soggetto, l’attivo permette più agevolmente di ovviare al problema. Infine, il passivo si accompagna più facilmente alle forme nominalizzate, altro espediente considerato abusato:
All data were subjected to analysis using GeneScape, a web-based software from CuraGen.
Il problema di questa frase è da identificarsi nella nominalizzazione piuttosto che nell’uso del passivo. La nominalizzazione nasconde l’azione fulcro di tutta la frase – quella di analizzare i dati – nell’espressione sottoporre ad analisi. L’autore sceglie un verbo per così dire zoppo, che ha bisogno di un sostantivo e di una preposizione per esprimere un significato, anziché usare l’opzione più naturale: la forma analizzare. Proprio come per i modificatori fuori posto, frasi del tipo X was subjected to Y o X was carried out sono molto più frequenti di X subjected Y to Z o X carried out Y. Per concludere, vale comunque la pena ricordare che il passivo in sé non è un errore grammaticale bensì un tratto stilistico e pertanto non va bandito indiscriminatamente. La forma passiva ha sicuramente un ruolo importante nell’aumentare la coesione del testo; permettendo di omettere l’agente, inoltre, evita di portare all’attenzione del lettore elementi informativi di scarso rilievo per la loro scontatezza, sempre laddove tale omissione non dia adito ad ambiguità. Una buona mescolanza di forme attive e passive appare dunque la soluzione migliore, tenendo comunque in debito conto l’attuale tendenza a privilegiare l’attivo in tutti quei casi in cui le caratteristiche di obiettività e coesione non abbiano a soffrirne. Riferimenti: Estwood, John, Oxford Guide to English Grammar, Oxford University Press, Oxford, 2002 Huddleston, G. K. & Pullum, R., The Cambridge Grammar of The English Language, Cambridge University Press, 2002 Ludbrook, J., Writing intelligible English prose for biomedical journals, Clinical and Experimental Pharm. and Phys., 2007